Dai tempi del Pardo d'Argento di Locarno nel 2002 per Pleasant Days Kornel Mundruzco sembrava aver conquistato un posto tutto suo fra gli autori più convincenti dell'Est europeo. Mentre nel 2014, White God vinceva al Certain Regard grazie all’allegoria più che azzeccata di un cane abbandonato sulla strada da un genitore insofferente. Ricercato in ogni angolo di Budapest dalla figliola, il cane assumeva un'aggressività che gli era sconosciuta; sempre più assecondato da una muta selvaggia, la società circostante.
La stessa ricerca del curioso, della responsabilità collettiva nell’indifferenza dilagante, il regista ungherese l’insegue ora in questa vicenda, vista in competizione a Cannes 2017. Di stretta attualità, poiché illustra il tragitto di un rifugiato siriano che tenta di entrare in Europa, ma viene ferito alla frontiera ungherese dal capo stesso della polizia locale. Crivellato mortalmente di colpi, il protagonista non solo sopravvive; ma inizia a levitare, tale un angelo, al disopra dell’apocalisse sottostante.
Buon per lui, ma meno per il film. Che inciampa da un impressionante e coinvolgente realismo iniziale sulla condizione dei migranti, a una disinvolta denuncia politica e alla banalità del thriller. Peggio: verso le scappatoie mistico-religiose di un finale cristico.